Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale è presunto nei confronti del nucleo, anche se non c’è convivenza
IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE È PRESUNTO NEI CONFRONTI DEL NUCLEO FAMILIARE, ANCHE SE NON È PRESENTE IL REQUISITO DELLA CONVIVENZA TRA I SUPERSTITI E LA VITTIMA
La Corte di Cassazione con il provvedimento in esame, la sentenza del 16 febbraio 2025 n. 3904, si è espressa su un caso di malasanità riguardante la richiesta di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale avanzata dalla coniuge e dalle figlie di un uomo deceduto, dopo una serie di interventi chirurgici mal gestiti dalla struttura ospedaliera dove era operato.
Cerchiamo di comprendere meglio cosa si intenda per danno da perdita del rapporto parentale e a quali soggetti spetta tale diritto.
Il danno da perdita del rapporto parentale è un danno di natura non patrimoniale spettante ai familiari del de cuius per la privazione del vincolo affettivo con il medesimo, per la mancata possibilità di godere della presenza del familiare e quindi per la forzata interruzione del rapporto con la persona deceduta.
La giurisprudenza riconosce che la scomparsa della vittima produce inevitabilmente alcuni cambiamenti nella vita dei superstiti poiché verrà meno sia la quotidianità del rapporto e sia il legame affettivo.
Inizialmente tale diritto veniva riconosciuto in via esclusiva alla cosiddetta famiglia nucleare composta da marito o moglie e figli.
Successivamente la giurisprudenza ha previsto che la predetta pretesa risarcitoria venisse elargita anche ad altri componenti familiari come, ad esempio, ai nonni, ai nipoti e così via.
Questo cambiamento è stato favorito anche dalla constatazione che la convivenza – tra vittima e superstite – fosse sì uno strumento utile, ma non l’unico e tanto meno poteva essere ritenuto il presupposto indispensabile per dimostrare l’intenso legame affettivo e la profondità del rapporto con la persona cara.
Nel caso in esame, il paziente aveva subito un primo intervento chirurgico e poi altri tre perché era subentrata una grave infezione che però non era stata gestita correttamente e si registrava un peggioramento clinico inesorabile che conduceva il medesimo alla morte.
La moglie e le figlie citavano in giudizio la struttura sanitaria per chiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.
Il Tribunale rigettava la richiesta attorea, l’ospedale non veniva considerato responsabile e quindi i familiari della vittima si opponevano alla sentenza di prime cure e ricorrevano in appello.
La Corte Territoriale accoglieva la richiesta di risarcimento nei confronti della coniuge e respingeva, invece, quella relativa alle figlie poiché, non vivendo più con il padre, avrebbero dovuto provare l’intensità del rapporto affettivo che esisteva tra loro ed il defunto.
Le parti soccombenti ricorrevano in Cassazione sostenendo che la Corte di Appello aveva erroneamente rigettato la loro domanda mentre avrebbe dovuto considerare presunta la sofferenza delle figlie per la dipartita del padre dal momento che – trattandosi di familiari stretti- il legame affettivo può essere anche dedotto facendo ricorso ad elementi presuntivi.
La Corte di Cassazione nel ribaltare quanto sostenuto in primo e secondo grado, ha ancora una volta chiarito che:” L’uccisione di una persona fa presumere da sola, una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti: in tal caso, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio.”
Ne consegue che:
– il danno da perdita del rapporto parentale per il nucleo familiare stretto è presunto;
– la mancata convivenza o la distanza tra il superstite e la vittima non esclude la titolarità del diritto;
– deve essere la parte convenuta a dimostrare l’indifferenza o l’odio per escludere il diritto al risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale.
Dott. Luigi Pinò