NEGATO IL RISARCIMENTO AI FAMILIARI DI UN NEONATO PER I DANNI RIPORTATI DAL MEDESIMO IN SEGUITO ALLA SOMMINISTRAZIONE DI UN VACCINO NON OBBLIGATORIO EFFETTUATA CON UN FARMACO RITIRATO DAL MERCATO, POICHE’ NON ERA STATA FORNITA AI GENITORI UN’ADEGUATA INFORMAZIONE SU EVENTUALI RISCHI O SULLE POSSIBILI CONSEGUENZE CHE POTEVANO VERIFICARSI
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame, ordinanza 7 novembre 2024 n. 28691, nega il risarcimento del danno ai genitori di un bambino poiché ha ritenuto non sussistente il nesso eziologico tra due diverse vaccinazioni, una obbligatoria e l’altro no, e l’insorgenza di alcune problematiche neurologiche permanenti sul minore.
Tutto prende inizio con la duplice vaccinazione a cui è stato sottoposto il piccolo a distanza di 35 giorni l’una dall’altra in seguito alle quali, riportava alcuni danni e alcune complicanze come la perdita del linguaggio, lo sviluppo di una sindrome aggressiva e la perdita del controllo corporeo.
Secondo i genitori questi postumi si erano verificati a causa della somministrazione di un farmaco – relativo al vaccino non obbligatorio – e successivamente ritirato dal mercato.
La questione assume una certa importanza dal momento che, anche se giudizialmente non è stato riconosciuto il risarcimento del danno ai genitori, tuttavia è stato riconosciuto il diritto ad ottenere l’indennizzo.
A tale ultimo riguardo, bisogna ricordare, innanzitutto, che nel nostro ordinamento è previsto dalla legge 210/92, un ristoro economico in favore delle persone danneggiate in maniera irreversibile da trasfusioni, vaccinazioni obbligatorie ed emoderivati.
La coppia di genitori chiedeva prima l’indennizzo per le complicanze (sintomi riconducibili all’autismo) causate dalla somministrazione del farmaco e in un secondo momento citava in giudizio l’Asl di Bari per richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, legati alla comparsa dell’autismo, in favore del piccolino e di tutta la famiglia colpita dall’evento lesivo.
L’una ha trovato totale accoglimento, l’altra no. Ma, come noto, i presupposti sono del tutto diversi perché il risarcimento è teso a ripristinare la situazione sia patrimoniale sia non patrimoniale del danneggiato in virtù del quale è indispensabile che sussista il nesso causale tra il danno lamentato e l’azione o l’omissione del medico; mentre l’indennizzo presuppone il riconoscimento economico per un pregiudizio subito, a titolo di equa riparazione.
Vediamo più nel dettaglio gli elementi su cui si fondava l’azione legale intrapresa dai neogenitori per ottenere il presunto danno da errore medico.
La domanda attorea constava di due parti: una relativa ad un consenso informato inadeguato circa gli eventuali rischi e le possibili complicanze derivanti dalla vaccinazione non obbligatoria e l’altra relativa ai danni riportati dal piccolino dopo l’inoculazione del farmaco.
Il Tribunale adito respingeva integralmente la domanda presentata dagli attori che proponevano ricorso in appello per opporsi alla sentenza di primo grado.
La Corte Territoriale accoglieva parzialmente la richiesta di risarcimento solamente nella parte relativa alla mancanza di informazioni sui possibili rischi legati alla somministrazione del vaccino, ma non in quella relativa ai danni permanenti riportati dal piccolo poiché non era stato dimostrato il nesso eziologico tra l’insorgenza della patologia riscontrata e la somministrazione del vaccino non obbligatorio.
La parte attrice si opponeva alla sentenza di secondo grado e ricorreva in Cassazione.
Secondo gli ermellini, la Corte d’Appello non aveva errato nel rigettare la parte della domanda relativa alla mancata dimostrazione del nesso di causa tra la patologia riscontrata e l’evento lesivo, in quanto- secondo la letteratura medico scientifica- non era stata dimostrata la relazione diretta tra l’insorgenza dell’autismo e i problemi fisici riscontrati dal bambino dopo la somministrazione del vaccino non obbligatoria, anche se era avvenuta tramite l’impiego di un farmaco ritirato successivamente dal mercato.
In virtù della motivazione sopradetta, quindi, la Suprema Corte confermava quanto stabilito dalla Corte di Appello e accoglieva solo la parte della domanda relativa all’inadeguata informazione fornita dai sanitari sui possibili rischi e sulle conseguenze che si potevano verificare in seguito all’inoculazione del vaccino.