IMPORTANZA DELLE PRESUNZIONI IN TEMA DI DANNI IURE PROPRIO DA PERDITA DEL CONGIUNTO
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame, la sentenza del 7 settembre 2023 n. 26140, ha ridelineato i principi da seguire per poter procedere al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale che, come noto, implica l’impossibilità di poter godere di un rapporto affettivo con il de cuius.
In particolare, la Suprema Corte delinea i contorni del danno risarcibile nel nostro ordinamento in caso di morte di un prossimo congiunto, ponendo l’attenzione sul danno non patrimoniale iure proprio lamentato dal familiare del de cuius.
Nel danno da perdita del rapporto parentale – in seguito ad un fatto illecito commesso da un terzo- il nostro sistema giuridico riconosce ai parenti del de cuius il diritto al ristoro economico per la sofferenza patita nella propria sfera personale e per i conseguenti cambiamenti nelle consuetudini di vita, determinati dal non poter più godere del rapporto parentale con il congiunto.
Nel nostro ordinamento il danno non patrimoniale rappresenta una categoria unitaria all’interno della quale è possibile distinguere sia il danno morale sia quello dinamico relazionale.
Ed infatti, la pronuncia in esame, ha espressamente ribadito che si tratta di danni diversi e che sono, pertanto, autonomamente risarcibili purché provati giudizialmente.
Per completezza, si ricorda che per danno morale s’intende quella particolare sofferenza interiore dovuta alla scomparsa del congiunto; mentre, quando si fa riferimento al danno dinamico relazionale si richiamano le implicazioni conseguenti al decesso e che hanno un risvolto nei rapporti sociali del superstite.
Tanto il danno morale quanto quello dinamico relazionale devono essere provati per poter essere risarciti; diventa essenziale dunque la prova della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal superstite.
A tal riguardo, spetta al congiunto dimostrare che la dipartita del familiare ha modificato in peggio la sua vita sociale, compromettendola in maniera sostanziale.
Questa posta di danno deve dunque essere oggetto di prova rappresentativa diretta.
Il danno morale, invece, viene risarcito sulla base delle presunzioni, delle massime di comune esperienza e del fatto notorio.
Gli ermellini precisano altresì che il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato sulla scorta delle tabelle basate su un sistema a punti che tengono conto di più aspetti, ad esempio, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentale, l’eventuale convivenza.
È fatta salva la possibilità di personalizzare il ristoro in relazione al singolo caso di specie, qualora ne ricorrano i presupposti.
La sentenza in esame è stata pronunciata in seguito alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla moglie e dai nipoti del de cuius.
In primo grado le pretese attore sono state riconosciute fondate.
In sede di appello, invece, veniva rigettata la richiesta di risarcimento dei danni promossa dai nipoti perché non sufficientemente corroborata da prove anche se erano stati articolati i mezzi di prova.
Inoltre, nessun rilievo era stato riconosciuto alle presunzioni.
Ne conseguiva un giudizio in cassazione.
Gli ermellini hanno cassato la sentenza della Corte di Appello perché inficiata da insanabili contraddizioni.
Nel caso in esame, infatti, gli attori avevano richiesto con le memorie ex art 183 c. 6 n. 2 di provare la sofferenza patita e la particolare intensità del rapporto esistente tra la vittima e i superstiti.
Escussi i testi, vi era stata la prova sia del danno morale sia della natura del rapporto esistente con il de cuius.
Dott. Luigi Pinò